martedì 19 aprile 2016

Questione di equilibrio – Intervista ad Andrea Cantarelli degli A Perfect Day

Credito foto: Emmanuel Mathez

A poco più di un mese dalla pubblicazione di 'The Deafening Silence', il chitarrista Andrea Cantarelli ci racconta la sua genesi.

LFdM: Ciao Andrea, grazie infinite per questa intervista, sono molto contenta di parlare con te, anche perché i Labyrinth, il tuo precedente gruppo, sono stati la prima scoperta musicale che ho fatto trasferendomi a Genova, quindi è un po' come un revival.
Andrea: Sono io che devo ringraziare voi. Bene è grandioso, sono molto legato a Genova, anche per motivi lavorativi!  

LFdM: Come ti dicevo la vostra è stata una piacevole scoperta anche dal punto di vista geografico: inizialmente avrei giurato che foste una band americana, quindi venire a sapere che i Labyrinth e gli A Perfect Day oggi sono band italiane è stato...interessante. Posso definirvi “diversamente italiani”?
Andrea: Bello, beh si dai ci può stare. Per quanto riguarda i Labyrinth sono un patrimonio che va preservato e che merita tutto il rispetto possibile. Purtroppo non siamo mai riusciti a fare quel salto di qualità che ci avrebbe permesso di esprimere noi stessi e fare quello che ci piaceva piuttosto che quello che dovevamo. Siccome fare dischi tanto per fare è una cosa che non mi è mai piaciuta, ho pensato che era arrivato il momento di prendersi una pausa e capire esattamente dove volevo andare ed in che modo. Gli A Perfect Day sono nati da quel senso di vuoto che si era creato subito dopo l’esperienza Labyrinth, avevo bisogno di rimettermi in gioco e tirar fuori quello che avevo dentro. Il primo album l’ho scritto praticamente senza avere la benché minima idea di quello che sarebbe venuto fuori. E' stato un buon inizio per ricominciare e Roberto sappiamo tutti il talento che ha.

LFdM: Rispetto al primo album, ho trovato 'The Deafening Silence' più immediato, più cristallino. Ci sono delle canzoni, come "Angel" o "My Lonely Island" che incantano per la loro semplicità. Quali sono gli elementi principali di questo album, a parte il cambio di vocalist?  
Andrea: Roberto Tiranti è uno degli artisti migliori con i quali ho lavorato, sono molto legato a lui, ma a giochi fatti il risultato finale del primo album mi era piaciuto a metà, nel senso che mi sono chiesto spesso se la vocalità di Roberto si sposasse con quello che volevo io. Sicuramente lui ha la capacità di rendere tutto molto piacevole e raffinato, ma in un contesto musicale come quello degli APD Marco Baruffetti ha saputo calarsi molto di più nella parte, avendo nelle corde questo genere musicale e riuscendo a spaziare molto di più grazie anche alla sua abilità come chitarrista. Era il mio progetto e la consapevolezza che lo hanno accettato e condiviso tutti in modo spontaneo è stato il risultato più grande e, non lo dico per vantarmi, ma era importante che ciò che avevo dentro venisse non solo condiviso ma anche plasmato.  

LFdM: Quindi hai strutturato questo secondo album già con la consapevolezza che avresti avuto una voce diversa, come volevi tu?
Andrea: Assolutamente sì. Quando mi sono chiesto che cosa stavo cercando la risposta è stata: una vocalità più mascolina ma che fosse immediata altrettanto quanto la musica stessa. Dal mio punto di vista come arrangiamenti ho semplificato moltissimo la struttura tagliando tutto il superfluo per dare maggiore risalto ai brani, è stata la prima volta come autore di testi ed è stato un processo molto complesso. Una volta messo tutto sul piatto della bilancia Alessandro e soprattutto Marco mi hanno aiutato a capire quale piega poteva e doveva prendere il disco per raggiungere l’obbiettivo che avevo in testa fin dall'inizio. Tu prima hai citato “Angel”, questa canzone potremmo definirla il punto di partenza dei nuovi APD, Marco ne scrisse musica e melodia tanti anni fa, è una canzone molto trasversale, di una tale versatilità che potrebbe essere messa nelle mani di moltissime band non necessariamente hard rock. È stato il nostro trampolino di lancio dal quale sono scaturite una serie di idee alle quali stiamo lavorando tutt'ora, ed è strano visto che nel momento in cui pubblichi un album ti senti sempre un po’ svuotato, mentre tutti noi abbiamo ancora una riserva di energie tale che non vogliamo assolutamente farla esaurire e soprattutto non vogliamo stare fermi altri tre anni. 

LFdM: Vediamo sempre più raramente gruppi che pubblicano la loro musica per il semplice piacere di farlo, e sempre meno artisti che mettono a servizio degli altri membri la propria idea affinché possano farla crescere assieme, come hai fatto tu in questo album. Cosa sta cambiando?
Andrea: La facilità con la quale oggi la moderna tecnologia ci mette in mano gli strumenti necessari per fare qualsiasi cosa e che offusca quello che dovrebbero essere i principi fondamentali: concentrazione e confronto. Io ho cercato di mettere a disposizione della mia band non solo le mie idee, ma soprattutto la mia esperienza come musicista, le lunghe ore di lavoro in sala prove senza avere un contratto o una data prefissata, la consapevolezza e la determinazione che solo facendo così sarei stato pronto quando sarebbe arrivato il mio momento.  Quando vedi band che anziché provare in studio lo fanno via internet e snobbano le performance live pensando che sia un punto di arrivo anziché quello di partenza, ti rendi conto che non sempre l’artista è la vittima sacrificale, il buon senso e la determinazione devono necessariamente arrivare da tutte le parti in causa, dagli artisti, ai gestori dei locali, alle agenzie che organizzano gli eventi.
Noi abbiamo sempre cercato di guadagnarci la fiducia di tutti attraverso la professionalità. Quando nel 2010 ci scelsero per aprire agli Iron Maiden le polemiche si sprecarono, ma la verità è una sola: quando sali su quei palchi devi rispettare un codice di comportamento che poche band conoscono perché purtroppo non ci sono mai passate per i motivi che ti spiegavo prima, che sono prettamente di natura professionale e di credibilità. Se da una parte i locali, gli organizzatori vogliono delle garanzie, dall’altra ci sono altrettanti artisti che non fanno niente per essere credibili, se poi ci mettiamo il terzo elemento di una generazione che si lamenta della mancanza di acqua o di coperture per il troppo sole, quando ai miei tempi dopo tre canzoni non ci si riconoscevano più dal fango e polvere che avevamo addosso, hai un quadro perfetto di come sta cambiando il mondo.

LFdM: Non potresti trovarmi più d’accordo. Tornando al disco: Hai tessuto le lodi di tutti, mostrando un quadro bellissimo della nascita di 'The Deafening Silence’, ma nel descrivere la sua evoluzione hai sottolineato un aspetto che ho percepito fin da subito, hai detto di aver snellito e tagliato il superfluo dal punto di vista tecnico, non credi di aver limitato il tuo talento in questo modo? 
Andrea: La cosa più difficile in assoluto è trovare il giusto equilibrio in ogni cosa si faccia. Se da una parte alcune scelte sono state frutto di un percorso che abbiamo intrapreso, dall'altra sono state volute. Non abbiamo mai suonato le canzoni del primo album dal vivo per mancanza di tempo e mezzi, va da sé che nel momento in cui si presentasse l’occasione saranno fatte delle valutazioni che ci permetteranno di essere pronti. Il problema di questo album è che non siamo ancora riusciti a pieno a coniugare due aspetti fondamentali, quello tecnico e quello della comunicazione. Se vuoi arrivare alla gente devi saper parlare un linguaggio semplice e l’equilibrio sta proprio lì, riuscire a coniugare l’abilità di musicista con la capacità di scrivere canzoni semplici ma immediate come può essere "My Lonely Island". Io sono cresciuto con gli Iron Maiden, sinceramente non mi è mai piaciuto fare a gara né mi sono mai sentito uno shredder come si dice oggi, ho avuto i miei miti ai quali mi sono ispirato come tutti del resto, con questo album ho cercato solo di tornare ad essere chi sono veramente, creando meno note più pensate e studiate e che sicuramente risultano essere meno tecniche, ma più soddisfacenti per me.

LFdM: E’ proprio necessario dover raccontare una storia attraverso un disco? Voglio dire, si può semplicemente ascoltare un album fino alla fine ed apprezzarlo per quello che ci ha dato senza per forza andare alla ricerca di qualcosa che non c’è? 
Andrea: Una canzone per poter funzionare ha bisogno di una serie infinita di elementi che non debbano necessariamente essere tecnici. Io cerco di mettermi al servizio di una canzone e se quello che sento funziona non vado oltre perché non avrebbe senso farlo. Quello che voglio di dire è che non tutti hanno il dono della sintesi, io non credo di averla ma almeno ci provo. Una canzone non deve essere un esercizio di stile, tirala lunga per far vedere quanto sei bravo alla fine stanca e finisce per non appagare chi la sta ascoltando. Credimi, trovare la giusta quadratura è la cosa più importante ma anche la più difficile, non solo per un musicista ma per chiunque nella vita. L’unica canzone nella quale mi sono concesso il lusso di andare oltre, prendendomi tutto il tempo è stata proprio la title track. In quel brano ho fatto tutto il contrario di quanto ti ho appena detto, ma va bene, una canzone la puoi fare come vuoi, farne dieci così, beh sarebbe stato noioso pure per me.
Creare una canzone deve essere uno stimolo, così come ascoltare e comprendere le critiche, perché solo attraverso la spontaneità capisci veramente la parte buona da tenere per il futuro e quello da rivedere o addirittura buttare. 

LFdM: Posso almeno dire che ascoltare 'The Deafening Silence’ mi ha fatto tornare un po’ indietro con la mente ai miei 16 anni?
Andrea: Beh se lo hai fatto sono contento, perché era voluto, ma fa sempre parte del gioco, quanto più le persone lo capiscono, tanto più ti rendi conto che hai centrato un obiettivo importante e che per quanto in futuro vorrai sperimentare e cambiare, dovrai comunque mantenere il giusto equilibrio.

LFdM: Grazie Andrea, alla prossima, chissà, magari a Genova!

La recensione di 'The Deafening Silence’ QUI

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