lunedì 9 marzo 2015

IMPLODE - I of Everything Recensione

IMPLODE - I OF EVERYTHING

Release: 24 Aprile 2015

Label: Cramada

01. Tithonus
02. Cold Dark Matter
03. The Transcend
04. The Sublime
05. Last Intervention
06. Of Root and Leaf
07. A Manifest
08. Pushing For Solitude
09. A Grail of Rust
10. Behind Craven
11. Of Needle and Thread
12. Stress Communion


Progetto ambizioso quello degli svedesi Implode che con I of Everything, spingono la loro musica all'interno di un concept davvero molto interessante ed intrigante. Tredici tracce divise in gruppi di tre per creare quattro capitoli ideali, ognuno con un proprio tema specifico - da un universo senza tempo fino ad arrivare al singolo individuo - tutti però uniti da un filo ideale che rende organica questa specie di narrazione in musica.

Ambizioso, certo. Complesso, molto probabilmente. Eppure sono questi i dettagli che fanno la differenza, che rendono perfino speciale un album attraverso uno studio approfondito, ad una ricercatezza non solo musicale ma anche tematica, che offre un'ulteriore base di sviluppo per qualcosa di grandioso.

Le sonorità degli Implode sono potenti, aggressive, sanno spingersi al massimo all'interno di soluzioni ritmiche che non lasciano alcuno scampo, che si rincorrono in un ritmo quasi estenuante, sfiancante, capace di lasciar scivolare le tracce l'una dietro l'altra in quello che non è altro che un metal puro, perfino un po' cattivo.

Il primo capitolo Aeon Clockwork (composto da Tithonus - Cold Dark Matter - The Transcend), apre una riflessione su quanto l'uomo sia insignificante davanti alla grandezza e alla potenza dell'universo, là dove non esiste il tempo e dove i limiti si spingono praticamente verso l'infinito, irraggiungibili ed incomprensibili. È la ricerca dell'immortalità, la possibilità di concepire universi multipli, molteplici e inesplorati che, però, possono nascondere insidie indicibili, un po' come nel mito di Titone (Tithonus) che ottiene sì l'immortalità, ma non l'eterna giovinezza e, per questo, condannato ad invecchiare fino alla fine del tempo. Ma è anche un capitolo che parla della creazione dell'universo e di come esso sia destinato a collassare su se stesso per poi riprendere il suo ciclo in un eterno moto di continua ripetizione di sé. Forse siamo finiti in un episodi di Doctor Who e non ce ne siamo accorti!

Terra Pericolosa (The Sublime - Last Intervention - Of Root and Leaf) è il secondo capitolo che parla del nostro mondo, di come l'essere umano lo sfrutta e lo usa per i suoi scopi. L'urlo, in questo caso, non è più quello dell'universo, bensì quello della Madre Terra che, in The Sublime, cerca di imporre la sua voce in quel grido di magnifica disperazione proprio come il sublime classico ci ha insegnato a vedere le cose.

Il terzo capitolo ha come titolo The Syndicate (A Manifest - Pushing For Solitude - A Grail of Rust) riguarda l'uomo e la natura umana, di come gli esseri viventi creino costantemente un muro tra loro e di come questa nostra incapacità di comunicare ci renda distanti gli uni dagli altri, facendoci apparire perfino odiosi agli occhi di chi ci osserva senza, però, riuscire a comprenderci. A Grail of Rust è una sorta di inno alla libertà, un tentativo di liberarsi dalle catene per riuscire finalmente a dispiegare le nostre ali atrofizzate.

Quarto e ultimo capitolo è I Tension (Behind Craven - Of Needle and Thread - Stress Communion), una riflessione più intima e profonda sull'individuo, sulle sue aspettative, i suoi sogni irrealizzabili e la sua delusione nel non riuscire a raggiungere quegli obiettivi troppo alti che durante la vita ci poniamo. Vorremmo conoscere tutte le risposte per essere felici, ma poi sarebbe davvero questa la felicità?

L'album è ben congegnato, davvero molto interessante dal punto di vista di questa sorta di storia che viene narrata traccia dopo traccia. Il problema sta forse in quella ripetitività musicale e vocale che, per quanto sia tecnicamente molto ben fatta e solida, dopo un po' sembra perfino stancare, rendendo i pezzi un po' tutti simili tra loro, nulla più che un grido davvero disperato e sordo al quale l'orecchio smette di prestare attenzione dopo un po'.

Le potenzialità ci sono, così come non mancano né la tecnica (musicale e vocale) né l'intelligenza capace di creare un progetto in grado di spingersi ben oltre alla mera raccolta di pezzi utili per creare un album. Forse il disco pecca un po' sulla varietà e con un tema così bello e importante alla base, è proprio di varietà che c'era bisogno, quella stessa capace di modulare le varie tematiche, dipingendo un quadro dalle mille sfumature.

6.5/10 
Dora

LINE-UP:

Johan Ejerblom (vocals)
Victor Danling (bass)
Henrik Axelsson (drums)
Christoffer Knutsson (guitars)
Victor Lindqvist-Moreau (guitars)

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